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Un trauma tipico del mondo indigeno è rappresentato dall’uscita solitaria nella giungla, un’esperienza geografica e psichica che produce straniamento, tensione e paura. L’individuo, in compagnia soltanto di sé stesso, si ritrova al cospetto della natura selvaggia e in un mondo-non-più-mondo nel quale ogni sensazione percettiva è inedita e alterata.
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L’esperienza è talmente profonda da rendere il soggetto altro da sé. È infatti lo sciamano, alla fine di questo percorso iniziatico, a restituirgli l’anima. Di tale “potenza sciamanica” sono animate le pagine del volume di Eduardo Viveiros de Castro, che qui affronta i nodi principali del proprio pensiero, ponendosi un importante quesito antropologico: se ogni cosa può, nello stesso momento, essere e non essere una persona, come poter stabilire i confini dell’antropologia? Attraverso una serie di dialoghi e interviste, Lo sguardo del giaguaro ci mostra l’assenza di parentela cui va incontro l’umano al cospetto del non-umano, ma soprattutto che l’antropologia non ha tanto un oggetto quanto un metodo, cioè soggettivare: più si è in grado di attribuire intenzionalità a un oggetto, più lo si conosce.
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